“LA RIFORMA DEGLI ENTI TERRITORIALI IN ITALIA” – DOCUMENTO APPROVATO DALL’ASSEMBLEA NAZIONALE DELL’ARS (8 GIUGNO 2014)

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16 risposte

  1. Simona dop ha detto:

    Premetto che mi sembra un documento per addetti ai lavori. Non sono certa di aver capito quale è concretamente la proposta: togliere la funzione legislativa agli enti territoriali? ridefinirne le competenze?cambiare i nomi e le funzioni non aiuta a comprendere, ad esempio si potrebbe mantenere la denominazione provincia specificando quali delimitazioni,compiti e funzioni dovrebbe avere.
    Eviterei di fissare in un numero il livello della pressione tributaria, ricordando che, riconquistata anche la sovranità monetaria, la pressione fiscale come pure la spesa pubblica, dovrà essere attuata in funzione di obiettivi da raggiungere e in funzione dell’andamento del ciclo economico.
    Pertanto anziché:
    < Ciò da un lato consentirebbe di riportare il livello della pressione tributaria dal 43% attuale al 31% che l’Italia aveva prima del “divorzio Banca d’Italia – Tesoro”,... >
    Proporrei:
    < Ciò da un lato consentirebbe di abbassare sensibilmente il livello della pressione tributaria, ...>

  2. paolo giunta ha detto:

    semplicemente opterei per una condizione anteriore agli anni 70. lo stato legislatore, le regioni a statuto speciale, le regioni ordinarie meramente formali, 91 provincie, il CORECO, le prefetture, aggiungerei solo le unioni dei comuni, mantenendo i piccoli comuni e le comunita’ montane. aggiungo gli ospedali gestiti dal ministero della sanita’ e i restanti presidi medici dalle provincie sotto il controllo del prefetto.

  3. stefanodandrea ha detto:

    Sono d’accordo Paolo. Però proponi un emendamento e/o vieni a Roma a sostenere questa tesi, che porta a una revisione del documento.

  4. oscar ha detto:

    Carissimi buongiorno a tutti,

    ho letto la Proposta di riforma ed i commenti, ed in linea generale sono d’accordo con La Proposta e con Simona, ma anche con Paolo. Ora penserete che ciò non ha senso, o sei d’accordo con uno o con l’altro, e ciò è apparentemente vero, ma in questo caso posso dire di essere in sintonia con tutti; infatti tutti pensano che lo Stato debba riappropiarsi della titolarietà della funzione legislativa. Sono in sintonia con l’applicabilità della L. 300/1999 che tanto è stata criticata ma mai applicata, se non per la dicitura di “Prefettura” se non erro, ma guarda caso modificata (per es.: riforma del Ministero dell’economia).
    Nel particolare invece:
    non mi trovo d’accordo sulla possibilità di gestioni periferiche di alcune amministrazioni: Forze Armate, Organi giurisdizionali ordinari, Istituti di prevenzione e pena, Forze di Polizia (ma in questo caso potremmo fare la distinzione tra polizia di stato e carabinieri) che ritengo debbano essere gestitie unicamente a livello centrale, oltre che per una uniformità di trattamento formale e sostanziale anche per una necessità storica ed attuale della tutela del Paese.

    Detto ciò, e fatti i complimenti a chi tanto tempo a dedicato alla redazione del documento che comunque non è semplice, avrei un obiezioni di carattere politico pregiudiziale (fatemi passare l’espressione).
    Noi possiamo pensare una qualunque riforma ottima, buona o mediocre (sarebbe il tempo a dirlo) ma non credo si potrà mai fare nulla di buono se prima non ci riappropiamo, a livello gestionale e di dirigenza pubblica o politica di quel senso civico che oramai è quasi sparito a favore degli interessi ed umori personali. Prima di qualunque riforma occorre preparare il terreno.
    Una riforma prevede gente capace ed allora perchè non pensare a qualcosa di tipo Ecole Nationale d’Aministration (Servire lo Stato senza asservirsi al Potere) di tipo francese? Essa risponde a un duplice obiettivo: rendere omogeneo il sistema di selezione dei funzionari destinati alle varie carriere e garantire loro un livello di formazione professionale commisurato alle posizioni che sono destinati ad occupare. Noi continuiamo con il “chi controlla il controllore?”, proprio perchè non abbiamo gente di cui fidarci, ovvero li abbiamo ma restano in ombra dei grandi gestori. Il nostro problema a monte sono i dirigenti o chi gestisce anche a livello periferico, cambiare sistema e o ministri in una situazione come la nostra non servirebbe a molto: l’eventuale riforma va applicata e non osteggiata (vedi es. la autocertificazione). Abbiamo bisogno di specialisti dell’innovazione che ci aiutino a cambiare, “occorre essere un po’ più precisi, più competenti, anche per vincere la battaglia per la semplificazione e contro le «carte burocratiche” scrive Pierluigi Mantini.
    La Burocrazia: altro problema che dovrebbe essere risolto a monte, Franz Kafka scriveva che «i ceppi dell’umanità tormentata sono fatti di carta bollata». Banale ma vero: provate a comprare una autovettira in qualunque altro paese CEE (non dico UE), si riduce a 2 ore di formalità, targa compresa, o costituire una società srl, il tempo di portare le carte alla camera di commercio locale, o la famosa dichiarazione dei redditi, e tanto altro.
    In un paese come il nostro, dove ancora non si riesce a capire chi è il responsabile di macroscopiche malefatte pubbliche, dove il cittadino si è rassegnato a subire od a farsi giustizia da solo perchè una qualunque decisione ordinaria ha tempi biblici e costi notevoli, dove la tutela contro la P.A. è quasi utopia perchè il diritto amministrativo nato a garanzia degli abusi è ora a garanzia degli abusi stessi, il modo di sopravvivere è accostarsi a qualche lobby politica per ottenere favori, lavoro, ecc, siamo tornati ai clientes dell’antica Roma. Questo è il quadro dove si andrebbero ad applicare le eventuali riforme.
    Per concludere noi possiamo parlare di distretti, circoscrizioni, comuni, città, ecc. ma, se prima non cambiamo le regole alla base di tutto ciò, allora si rischia di fare un buco nell’acqua, non dimentichiamoci che è da Costantino che riformiamo l’amministrazione dello Stato: quindi educhiamo all’idea dello Stato sovrano ma insieme all’idea del Popolo sovrano e poi andiamo avanti.

    Un caro saluto a tutti

    P.S.: Sarei voluto veramente essere al Palacavicchi l’8 ma ho saputo (ach, me ne ero dimenticato) che quel giorno mio figlio ha la Cresima. Eh si ne ho 4 e qualcosa sfugge. Buon lavoro a tutti

  5. Luca Cancelliere ha detto:

    In merito all’emendamento di Simona, preciso quale estensore del documento che l’indicazione del livello della pressione tributaria (che ovviamente è la risultante di una serie di norme rilevabile a posteriori e non può essere individuato ex ante) non ha carattere puntuale e precettivo, ma ha carattere meramente simbolico e comparativo con l’anno del divorzio Banca d’Italia – Tesoro. L’emendamento per quanto mi riguarda può senz’altro essere accolto, ma nella presente forma: “Ciò da un lato consentirebbe di abbassare sensibilmente il livello della pressione tributaria (che oggi è al 43% rispetto al 31% che l’Italia aveva prima del divorzio Banca d’Italia – Tesoro del 1981)”…

    ****
    Su suggerimento del Presidente Stefano D’Andrea, propongo un ulteriore emendamento. Dopo la frase “Al posto delle attuali 20 regioni e 110 province, pertanto, potrebbero essere istituiti circa 60 “distretti” ( il numero è quello delle province – 59 – esistenti al momento della costituzione dello Stato unitario, ma potrebbe essere eventualmente aumentato)” dovrebbe essere aggiunto il seguente periodo: “Ai distretti istituiti nei territori delle attuali regioni a statuto speciale verrebbero riconosciute forme speciali di autonomia”.
    Luca Cancelliere

  6. Osvaldo Leone ha detto:

    Il 26 maggio avevo lasciato il seguente commento sul sito di Appello al Popolo:
    “Effettivamente l’unificazione di due livelli di governo, regioni e province, in un ente intermedio da nominare (distretto, area, dipartimento, ecc.) unito a un ripristino dei controlli amministrativi ex-ante, avrebbe non solo riflessi positivi sulle economie delle singole zone, ma contribuirebbe a contrastare e ridimensionare le piaghe della corruzione e del malaffare a beneficio dell’economia locale e centrale.
    Quello che non trovo soddisfacente è la proposizione di numeri per la suddivisione territoriale dei distretti, individuando (secondo me con insufficienti motivazioni) in 60 il loro numero ottimale e proponendo accorpamenti di comuni sulla base di parametri di popolazione non si sa bene scaturenti da quali considerazioni.
    Trovo inoltre non corretto scartare con sole due righe e mezza la proposta della Società Geografica di creazione di 36 distretti o aree (“Tale proposta, tuttavia, a parere di chi scrive allontanerebbe troppo l’istituzione intermedia dalle comunità locali, profilando in tal modo il rischio di una sorta di “centralismo distrettuale”) quando, a consultare l’ebook della stessa Società Geografica, ci si accorge che la mappa di proposizione delle 36 aree è preceduta da poco meno di 150 pagine [e.c.] di considerazioni e studi sulle suddivisioni territoriali italiane dall’unificazione a oggi.
    Credo pertanto sia necessario emendare il testo del documento per ricondurlo alla logica del medesimo, di indirizzo politico, senza entrare nel merito di quante possano essere le nuove aree intermedie o di che dimensioni debbano essere i nuovi comuni accorpati.”
    Rispondo quindi alla sollecitazione di Stefano e propongo di sostituire i periodi 5, 6 e 7 del paragrafo “Un nuovo localismo…” con i seguenti:

    “Si tenga conto che al momento della costituzione dello Stato unitario esistevano 59 provincie, ritenute all’epoca più che sufficienti per un efficiente controllo dello Stato sulle comunità locali, di contro la proposta della Società Geografica Italiana riflette una impostazione di maggior potere dell’ente intermedio, profilando una sorta di “centralismo distrettuale” che di fatto indebolirebbe il controllo dello Stato. Al posto delle attuali 20 regioni e 110 province, pertanto, potrebbero essere istituiti circa 60 (o più) “distretti” distinti fra “territoriali” e “metropolitani”. Ciascuno dei distretti dovrebbe essere formato cercando di rispettare il più possibile le caratteristiche geografiche, storiche, culturali, linguistiche, economiche dei vari territori e della popolazione ivi residente.”

    Con riguardo alle dimensioni delle “unioni di comuni” qualsiasi emendamento sarebbe troppo “devastante ” per il documento presentato, che forse entra troppo nel merito, anche considerato che in Italia i comuni con più di 50.000 abitanti sono 142 di cui soltanto 2 quelli con più di 1 mln, 44 quelli fra 100.000 e 1 mln e soltanto 96 quelli fra 50.000 e 100.000, quindi mi sembra eccessivo prevedere unioni da 25.000 fino a 250.000 abitanti. Pertanto mi limito a proporre il seguente emendamento al primo periodo del paragrafo “Comuni…”:
    “da un minimo di 25.000 a un massimo di 100.000 abitanti”.

    Se “sbalio mi corigerete”.

  7. Luca Cancelliere ha detto:

    Pienamente d’accordo con l’emendamento che abbassa la soglia delle costituende unioni di comuni da 250.000 a 100.000 abitanti.
    Non ritengo opportuno, pur avendo ben considerato il documento della Società Geografica Italiana, ridurre il numero dei distretti da 60 a 36. Infatti il documento della S.G.I. parte da una logica federalista: i distretti sono espressamente definiti “federali” e sono titolari, al pari delle attuali regioni a cui somigliano molto, di autonomia legislativa. I distretti “territoriali” e “metropolitani” proposti nel mio documento hanno invece un carattere non federalista ma piuttosto “localista”. Detti distretti sarebbero infatti enti dotati di autonomia non legislativa ma unicamente amministrativa e regolamentare, intermedi tra le attuali regioni e province ma per certi versi più simili a queste ultime, anche per dimensioni e prossimità al cittadino.
    Quindi riterrei che il numero di 60 potrebbe essere aumentato più che diminuito, anche in considerazione del fatto che nel 1865 lo Stato Unitario aveva 59 province che dopo di allora si sono aggiunte al territorio nazionale il Veneto e il Friuli (1866), il Lazio (1870), il Trentino Alto Adige e la Venezia Giulia (1918), cioè circa altre 15 province.
    Propongo invece di inserire un breve inciso, puramente descrittivo, sulla legge n. 56 del 7 aprile 2014 prima di “Nel 1861…”: “La legge n. 56 del 7 aprile 2014, recante “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni”, ha in particolato precisato funzioni e organi delle città metropolitane e delle unioni di comuni e definito le province come “enti territoriali di area vasta” con un presidente della provincia eletto tra i sindaci della provincia, un’assemblea dei sindaci e un consiglio provinciale nel quale “Sono eleggibili a consigliere provinciale i sindaci e i consiglieri comunali in carica”.”

    • Osvaldo Leone ha detto:

      A ben leggere, il primo emendamento non prevedeva la riduzione dei distretti da circa 60 a 36, bensì intendeva proporre un criterio per la formazione di detti Enti, eliminando ogni riferimento demografico.
      Propongo una nuova formulazione del primo emendamento:
      “I 60 (o più) “distretti” si dividerebbero in “distretti territoriali” e “distretti metropolitani”. Ciascuno dei distretti dovrebbe essere formato cercando di rispettare il più possibile le caratteristiche geografiche, storiche, culturali, linguistiche, economiche dei vari territori e della popolazione ivi residente”.
      In sostituzione del seguente periodo: “I 60 (o più) “distretti” si dividerebbero in “distretti territoriali” e “distretti metropolitani”. Ciascuno dei distretti dovrebbe avere una popolazione compresa tra un minimo di 500.000 e un massimo di 1.500.000 di abitanti”

  8. Luca Cancelliere ha detto:

    Sono d’accordo con l’ancoraggio della ripartizione in distretti in base alle “caratteristiche geografiche, storiche, culturali, linguistiche, economiche”. In realtà lo davo per scontato, essendo molto sensibile agli aspetti sia identitari (per “provenienza” politica) che socioeconomici (per motivi connessi al mio lavoro). Lascerei però un massimo e un minimo demografico, al fine di evitare l’attuale sproporzione tra regioni enormi (Lombardia) e minuscole (Molise, Val d’Aosta), o province enormi (MIlano) e minuscole (caso limite, l’Ogliastra in Sardegna con 58.000 abitanti), cui sicuramente condurrebbe il particolarismo politico che ammorba la nostra Italia. Infatti se i distretti sono 60, ognuno di essi avrebbe in media un milione di abitanti. Per cui potremmo formulare in tal modo: “I 60 (o più) “distretti” si dividerebbero in “distretti territoriali” e “distretti metropolitani”. Ciascuno dei distretti dovrebbe essere formato cercando di rispettare il più possibile le caratteristiche geografiche, storiche, culturali, linguistiche, economiche dei vari territori e della popolazione ivi residente”, CON UNA POPOLAZIONE INDICATIVAMENTE TRA 500.000 E 1.500.000 ABITANTI”.

  9. Massimo Ponchia ha detto:

    Con le proposte fatte in questo documento, almeno quelle relative all’organizzazione del territorio, si rischia di passare dalla padella alla brace. Andiamo a sostituire le regioni e i vari enti locali con delle “mini regioni”, che hanno competenze “legislative interne” proprie e che come detto nell’articolo trasformano l’Italia in uno stato federale contribuendo di fatto a mantenere quel “casino” legislativo che stiamo vivendo adesso con le leggi regionali che si accavallano a quelle nazionali. TROPPO COMPLICATO E MACCHINOSO, così credo si vada solo a creare un altro mostro politico/amministrativo/burocratico. Ci vuole una soluzione più semplice e lineare, dopotutto l’Italia è un piccolo stato, pertanto invito le menti dell’ARS a sviluppare un progetto di organizzazione dello stato più snello, più leggero e proprio per questo più efficace e utile nei confronti dei cittadini che lo dovranno vivere sulla loro pelle. Se lo si desidera, io posso dare, molto umilmente, il mio contributo.

    • stefanodandrea ha detto:

      Ma dove lo vedi lo stato federale?
      Scompare la potestà normativa primaria degli enti territoriali (si torna più indietro del 1970); resta soltanto una potestà regolamentare in alcune materie e si tratterebbe di individuarle. I distretti sarebbero chiaramente enti ammninistrativi e non normativi. Le regioni diverrebbero mere ripartizioni territoriali, semplici retaggi storici. Dunque né stato federale né stato regionale. Ma stato centrale con decentramento amministrativo necessario (il potere regolamentare in alcune materie ben scelte può essere utile).
      Per dare un contributo all’ARS ci si iscrive, si milta, ci si fa conoscere e certamente si propongono anche documenti approvati, per quanto riguarda il tema, dal Comitato Direttivo e poi approvati nelloro testo definitivo dall’assemblea. Siamo 300 iscritti e in un anno (fino al giugno 2015) dobbiamo diventare 750 (mi accontenterei). In assemblea eravamo 170 e il prossimo anno dobbiamo cercare di essere 300 (mi accontenterei).

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